Altre civiltà nel cosmo? Breve excursus storico-antropologico
di Enrico Baccarini©
Menti libere e senza dogmatismi che, accantonati gli antichi miti, iniziarono a considerare e a razionalizzare l’esistenza di altri mondi abitati. Come abbiamo visto tale concezione si legò, nella sua genesi, alla teoria atomista. Saranno proprio Leucippo e Democrito ad ipotizzare che la materia sia costituita da strutture microscopiche definendo le stesse, (da a-temnein, gr. non divisibili), particelle infinitesimali che si muoverebbero disordinatamente nel vuoto.
L’atomismo predisse un numero infinito di atomi come anche le infinite possibilità di aggregazione che sarebbero potute avvenire tra di esse. Una tale condizione non avrebbe quindi prodotto impedimenti alla formazione di altri mondi né alla presenza, su tali pianeti, di altre forme di vita. La belle epoque culturale e positivista favorita dall’atomismo non sarebbe durata a lungo e si sarebbe dovuta scontrare con i nuovi concetti ed i nuovi principi promulgati da Aristotele3. Uomo di grande intelletto, ma di altrettanta severità culturale, Aristotele avrebbe condotto i filosofi, e la filosofia stessa in molte sue parti per i secoli a venire, verso una concezione limitante e restrittiva del mondo soprattutto per quanto riguardò la possibilità di vita nel cosmo.
La sua raziocinante concezione dell’impossibilità di mondi abitati relegò e circoscrisse tali argomentazioni ad ambiti talmente riservati e ristretti che per molti secoli la stessa formulazione di concetti o idee attinenti avrebbe potuto condurre all’incredibile accusa di eresia. Lo stesso cristianesimo, che avrebbe assommato in Aristotele la grandezza filosofica ed intellettuale pre-cristica, contrastò quanto possibile l’introduzione e la circolazione di tali idee.
Non si trattò di una semplice questione di repressione intellettuale o culturale quanto della paura che tali concezioni potessero alterare quello status quo ottenuto e mantenuto nel corso di secoli ed in cui il messaggio di Cristo non avrebbe potuto più costituire una prerogativa propria solo del nostro pianeta4. Tale concezioni sono state oggi abbandonate per una visione religiosa dei mondi abitati diametralmente opposta a quanto la stessa religione cristiano- cattolica ha propugnato, e contestato, nei secoli passati.
Oggi si ammette una pluralità dei mondi abitati, anche se le indagini odierne non hanno permesso di conclamare tali possibilità, ammettendo che lo stesso messaggio di Cristo possa essere stato “ospitato” anche da altre civiltà.
Aprioristicamente vennero condannate tali concezioni per evitare che qualche mente illuminata potesse contrapporsi ai dogmi e ai canoni del potere religioso. Tale situazione delinea, a grandi linee, quei contesti e quella forma mentis che instradarono nei secoli l’idea di mondi abitati. In tale clima di paura culturale non sarebbero mancati però individui e gruppi che avrebbero sostenuto con forza le idee dell’antico atomismo relegando però le proprie concezioni ed i propri ideali a contesti estremamente ristretti e selettivamente elitari. Eziologicamente potremmo identificare i primi quesiti inerenti la vita su altri mondi ad un ambito estremamente pratico, e pragmatico, della nostra stessa esistenza. L’evoluzione culturale e sociale prodotta dalle prime comunità umane condusse, inevitabilmente, oltre che ad un progresso proto- scientifico e tecnologico, alla creazione delle prime forme organizzate di religione di massa. Tali strutturazioni si svilupparono originandosi dal duplice binario del quesito proto-filosofico e dalla necessità di ricercare in un essere superiore quelle qualità “divine” apparentemente assenti nell’uomo ovvero di quel ruolo di organizzatore e giudice della vita umana. I padri dell’atomismo non furono i soli a disquisire sull’universo e sulle sue creature, con Epicuro (341 – 270 a.C.), e maggiormente con Lucrezio (99 – 55 a.C.), si iniziò ad affermare una sorta di “principio di pienezza” secondo cui le potenzialità insite nella materia «sarebbero state destinate prima o poi a realizzarsi, dando origine ad un mondo tanto più perfetto quanto maggiore è la ricchezza di esistenti che esso contiene».
L’evoluzione delle prime forme religiose avrebbe condotto numerosi popoli ed innumerevoli culture ad assommare tali corpi celesti ad esseri divini, ad entità superiori abitatori del profondo infinito. In tale processo di personificazione e di strutturazione di una idea di “spazio abitato” potrebbe essere identificata la prima strutturazione del concetto di altre forme di vita esterne al nostro pianeta, di altre civiltà ed esseri abitanti altri mondi. Una interpretazione eziologica ma che probabilmente connaturò il nostro animo e la nostra storia portandoci a credere, e a sperare, che esistesse qualcuno oltre il limite inviolato del nostro cielo.
Sotto il profilo storico l’interrogativo sulla pluralità di mondi abitati pare comunque sorgere in contesti diversi dalle grandi questioni inerenti l’origine del mondo e del tutto, che andranno successivamente a caratterizzare il “problema cosmologico”. Se quasi tutte le antiche teogonie riconobbero nella presenza di divinità antropomorfe gli artefici e i giudici del mondo e della vita, ciò non avvenne per quanto riguardò le concezioni sulla pluralità dei mondi abitati. Se escludiamo la teoria atomista, e qualche pensatore isolato nel corso dei secoli, sarà solo dopo il XIX secolo che una idea fondante di vita del cosmo inizierà a permeare la nostra cultura e la nostra scienza. Solo quando il livello tecnologico permise una migliore comprensione e decifrazione di alcuni misteri del creato la possibilità che esistessero altri mondi abitati si fece predominante nelle nostre discussioni. L’humus culturale e scientifico cui la nostra storia ci ha preparato ha visto solo con l’avvento nel XX secolo il momento adatto per una nuova comprensione ed una diversa modalità di studio alla possibilità di altri mondi abitati.
Non è oggetto di studio di questo nostro lavoro ma le problematica causate ed ipotizzate da un eventuale contatto con altre civiltà nel nostro, odierno, “mondo civilizzato” causerebbero probabilmente uno shock culturale talmente destabilizzante e repentino da sovvertire totalmente quello status quo a lungo maturato negli ultimi millenni. Verso la fine degli anni ’50 lo stesso Carl Gustav Jung, come anche Giordano Bruno oltre 400 anni fa6, espressero nelle proprie analisi le problematiche correlate alla “frantumazione” culturale ed intellettuale in cui la nostra civiltà si potrebbe trovare nel caso di tale contatto, frantumazione che si potrebbe verosimilmente paragonare alla differenza intercorrente tra i nostri animali domestici e noi. Non è una ipotesi molto allettante. Sarebbe allo stesso tempo verosimile un contatto ed una eventuale colonizzazione senza la preoccupazione che tale evento potrebbe causare. Sono anche ipotizzabili varietà di situazioni intermedie meno “invasive” e destabilizzanti come ad esempio la costruzione di colonie che rimarrebbero isolate e non interferirebbero con la crescita e lo sviluppo di una civiltà inferiore. Il punto nodale sarebbe capire se la colonizzazione costituisca, o potrebbe costituire, una regola comune di eventuali civiltà spaziali.
Non disdegnandola, ma osservandola come una buona “fucina” di idee ed ipotesi, il mondo della fantascienza ha sempre mostrato come civiltà superiori abbiano evitato il contatto diretto con civiltà a loro inferiori non contaminandole e non interferendo con esse. È verosimile altresì ritenere che la semplice scoperta dell’esistenza di un’altra civiltà progredita potrebbe essa stessa alterare quel continuum culturale e sociale imperante distruggendo anche quella progressione logica, necessariamente monotona ed evolutiva, che si riferisce alla scoperta e alla diffusione delle idee. Altro fattore scarsamente considerato può essere visto nella difficile riconoscibilità che una eventuale tecnologia aliena potrebbe avere nei nostri confronti. Una cultura ed una società arretrate e primitive, o semplicemente inferiori rispetto ai “nuovi vicini”, potrebbe essere basata su basi biologiche anziché meccanicistiche lasciandoci ipotizzare un tipo di civiltà totalmente difforme da quelle che conosciamo e che potrebbe appartenere ai “visitatori spaziali”. I problemi non nascono solo su tali tematiche, ma anche sulle rispettive terminologie adottate. Pensiamo al termine “primitivo” che abbiamo usato ampiamente utilizzato anche in questo articolo. In riferimento alle materie di cui stiamo disquisendo si tratta di un termine alquanto ambiguo; sul nostro pianeta tale parola viene ad identificare popolazioni che possiedono un tipo di cultura analfabeta e che non hanno sviluppato centri urbani. Tale termine è funzionale sulla Terra ma lo sarebbe anche al di fuori di essa? Allo stesso modo non possiamo escludere la possibilità che una civiltà differente dalla nostra possa essere organizzata attraverso dei pattern che non sono equiparabili alle nostre tradizionali categorie (come religione, arte, scienza, politica, etc.). La religione indica, ad esempio, le modalità attraverso cui l’ignoto e l’insondabile si può trasformare in conoscenza trasmissibile. Tale trasmissione si può attuare attraverso differenti canali culturali come il mito, la leggenda, la tradizione e il racconto orale, ma non necessariamente tale interpretazione dovrebbe applicarsi anche ad un’altra civiltà. Ciò che per noi si fonda su determinate basi culturali, religiose o sociali potrebbero coincidere differentemente in un’altra cultura che li avesse interpretati su piani differenti. Per classificare una civiltà, i suoi ritmi e la sua strutturazione sociale e culturale dovremmo valutare l’atteggiamento e le credenze stesse dell’individuo in riferimento e relazione alle reazioni che questi potrebbero avere all’interno della sua società. Ottica questa che potrebbe essere ampiamente utilizzata da possibili civiltà spaziali nell’arduo compito di comprendere e studiare una nuova cultura.
In tutte le considerazioni compiute nel corso degli ultimi tre millenni su possibili comunità extraterrestri è ravvisabile una continuità logica ed ideologica. Dalla Repubblica di Platone fino ad arrivare alla comunità utopica di Oneida di Noyes (XIX sec.) un filo conduttore comune sembra percorre le storia delle nostre speculazioni su civiltà aliene. Dal punto di vista terrestre tendiamo a vedere queste comunità come un connubio tra scienza, tecnologia e progresso, ma ne siamo veramente certi? Nell’alta probabilità di poterci trovare davanti ogni tipo di civiltà ipotizzabile è altrettanto vero che qualsiasi forma di progresso dovrebbe essere frutto di scoperte ed esperimenti programmati come anche casuali. Il problema di fondo che decine di studiosi si sono posti, e che è applicabile anche ad una civiltà spaziale che studiasse nuovi mondo e nuove culture, verterebbe sulla ricerca del sistema migliore per approcciare lo studio del comportamento culturale e del livello scientifico di una nuova civiltà. D.G. Haring afferma, in uno dei testi capisaldi della moderna antropologia «Il comportamento sociale dell’uomo… è culturale (cioè imparato dagli altri). Chiunque può apprendere in qualsiasi circostanza un nuovo modo di comportamento e sostituirlo ai precedenti schemi di comportamento. Questi dati di fatto invalidano gli studi di laboratorio del fenomeno sociale»7. L’applicabilità di tale concetto potrebbe essere quindi riferita a civiltà spaziali inclini nello studio di una civiltà a loro inferiore. Gli esperimenti che potrebbero essere compiuti su o da una comunità extraterrestre potrebbero quindi implicare delle problematiche di fondo notevoli, ponendo forti vincoli alla previsione di comportamento e allo studio sistematico della relativa cultura.
Tali quesiti pongono quindi la forte necessità di dover strutturare un cammino esopsicologico multi-angolare, multi-componenziale e multi-disciplinare teso alla strutturazione di una banca dati e di un iter di ricerca in grado di affrontare e studiare ambiti diversi, problematiche differenti e situazioni complesse nel livello di una visione globale della psicologia delle civiltà extraterrestri. Questo lavoro costituisce un primo approccio alla problematica che ci riproporremo di ampliare e sviluppare nei seguenti numeri.
Il problema di fondo sotteso a questo articolo si basa essenzialmente su un’unica domanda, un quesito che ci riproponiamo in conclusione. Esiste vita nel cosmo? La risposta che oggi potremmo fornire è sicuramente si. È possibile, anzi inevitabile, che altre forme di vita si siano sviluppate nel cosmo e che possano allo stesso tempo aver sviluppato e maturato società tecnologizzate e progredite. Altre civiltà oltre la Terra sono probabilmente i nostri gemelli dell’universo, i parenti più prossimi e a noi vicini. Tutti gli aspetti delle scienze sociali, psicologiche ed antropologiche giocherebbero quindi un ruolo primario nell’eventualità di un contatto, come anche nella presa di di coscienza ad opera altre civiltà. Altre discipline potrebbero altresì permetterci di capire e comprendere e, nel caso fossimo noi i colonizzatori, di studiare una “nuova civiltà”. Nessun ramo del sapere può avere però la presunzione di studiare un’intera civiltà, i suoi schemi e la sua cultura; l’esopsicologia, l’esobiologia, l’esoantropologia e tutte le altre discipline oggi incentrate nello studio di altre forme di vita dovrebbero arrivare un giorno a fondere realmente i propri ambiti di studio per arrivare a creare quella nuova scienza che alcuni hanno voluto chiamare xenologia.
Tratto dal numero 29 di Astromisteri di Hera – Novembre 2008
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