Scheletro di donna vampiro trovato nella Laguna di Venezia

Per la festa della donna gli archeologi regalano una straordinaria scoperta: portano alla luce i resti di uno scheletro femminile probabilmente appartenente ad una Donna Vampiro. “È stato ritrovato con un mattone in bocca come fosse stata ‘impalata’ (il termine si usa anche in questo caso) per impedire ogni movimento alle mandibole. Il corpo ritrovato ha permesso così agli studiosi di ipotizzare che, stante le usanze indotte dalla superstizione medioevale (il periodo dovrebbe essere compreso fra ’400 e ’500), potesse trattarsi di una cosiddetta ‘donna vampiro’ ” – ci confida la soprintendente al telefono. Ma a fare la scoperta è il team di Matteo Borrini, docente del dipartimento di Scienze antiche dell’Università di Firenze, esperto di archeologia forense e antropologia fisica, che dalla fine dal 2006 ha condotto una serie di scavi e approfondimenti con un gruppetto di ricercatori tra i quali la sezione veneziana dei Gruppi archeologici d’Italia e altre organizzazioni di settore. “Non sarebbe male che ora ci arrivassero anche un po’ di fondi per continuare” – ci sottolinea un po’ preoccupato per il futuro non tanto roseo.

Proprio in questi giorni, dopo aver illustrato la sua ricerca nel maggio scorso in un convegno di settore a Firenze, Borrini ha presentato il suo studio a Denver, negli Stati Uniti, durante i lavori dell’American Academy of Forensic Sciences. “L’idea che questa donna fosse una vampira – precisa Borrini – è probabilmente dovuta alle fasi di decomposizione del cadavere che, all’occhio dei becchini del tempo che riempivano le fosse comuni dei morti appestati, continuava ad avere una propria fattezza umana. La decomposizione provoca nella salma una serie di trasformazioni: i gas contenuti in corpo gonfiano l’addome; la pressione di essi, assieme all’effetto della macerazione delle carni e degli organi interni, provocano delle emorragie che, di conseguenza, comportano delle fuoriuscite di sangue dal naso e dalla bocca”. “Ed è a questo punto – riasssume il professore – che nasce e si sostanzia la “leggenda”. Questa donna, con ogni probabilità, risultava non decomposta nella tremenda fase dell’inumazione dei cadaveri degli appestati, tanto che nei seppellitori deve essersi venuta a creare la consapevolezza che, proprio il suo gonfiore, fosse dovuto al fatto che “bevesse” e si nutrisse del sangue degli altri morti. Ed ecco quindi che a poco a poco si è venuta a creare la figura dei “non morti” ovvero dei vampiri che, dopo essersi nutriti del sangue altrui, sarebbero potuti uscire fuori dalla tomba e contagiare con la peste altre persone”. E quindi il mattone in bocca doveva servire per mettere a freno psicosi collettive che avrebbero potuto traumatizzare ancor di più la gente già condannata o terrorizzata dalla peste. “Per questo – conclude Matteo Borrini – gli addetti alla sepoltura degli appestati inserivano un mattone nella bocca di questi morti “sospetti”, in modo che non potessero più riaprirla”.

Non è solo una questione scientifica, ma anche antropologica. “Nell’Europa del XVII secolo – esordisce il professore – era diffusa la credenza che ci fosse uno stretto rapporto tra epidemie e vampiri, e in particolare tra pestilenza e un tipo di vampiro, il “nachzehrer” ovvero il masticatore di sudario, o divoratore della notte, “apparso” per la prima volta in Polonia attorno al Trecento. In sostanza si credeva che la salma, avvolta nel sudario, fosse in realtà ancora vivente, perchè “masticava” le parti del tessuto usato per la sepoltura in corrispondenza della bocca, per poter così succhiare il sangue altrui. É evidente che tutto ciò era dovuto invece esclusivamente agli acidi sprigionati dalla decomposizione”. Dopo queste affermazioni possiamo raggrellarci perchè viene fatta giustizia. Il gentil sesso ha dovuto per secoli soccombere alle dottrine ecclesiastiche che si sono mescolate con fantasticherie le più assurde.

Fonte: http://www.aidanews.it/, 7 marzo 2009

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