Scienza, Parascienza e “Scienza Eretica”

 

Viene di questi tempi sovente indicato un ritorno all'”irrazionale” come una delle principali negative connotazioni sociologiche e culturali di questa fine di secolo, anzi di millennio, quasi che negli ultimi duecento anni il trionfo della mentalita’ illuminista sia stato davvero cosi’ totale da relegare per sempre nel “ciarpame della storia della stupidita’ umana” l’eterna credenza degli uomini nel soprannaturale. Invece, al di fuori dei programmi scolastici, e dell’ortodossia degli ambienti scientifici “ufficiali” di cui presto diremo, i credi in oggetto hanno sempre continuato ad occupare un posto importante, anche se sommerso, nell’insieme delle “visioni del mondo”, e non hanno mai cessato di accompagnare la difficile esperienza dell’uomo su questo pianeta. Il fenomeno al quale si assiste e’ allora piuttosto quello del ritorno in modo esplicito sulla scena culturale delle credenze nell’occulto e nel paranormale, senza piu’ complessi di inferiorita’ nei confronti di una “visione scientifica” del mondo che comincia a mostrare tutta la sua usura e la sua insufficienza di fronte a quelli che sono evidentemente profondi bisogni umani.

Di un siffatto ritorno, e del “conflitto” con le teorie scientifiche correnti che ne e’ derivato, voglio in queste righe occuparmi: il punto di partenza e’ infatti la ben nota strenua opposizione che viene prodotta alle credenze di cui si diceva prima dai “seguaci” del punto di vista “scientifico”, e vale la pena pertanto di cercare di individuare le motivazioni profonde di un tale atteggiamento, che consiste in qualcosa di piu’, e di diverso, dalle normali cautela ed esigenza di “rigore” che possono, anzi debbono, essere avanzate nei confronti di qualsiasi affermazione che esuli dai confini dell’ovvio o del gia’ noto. Nell’occasione, parlero’ anche del ruolo che la scienza “eretica”, della quale sono da vari anni appassionato cultore, occupa in questo scontro, nella persuasione che le ragioni di fondo che ispirano i “fedeli” della scienza contro quelli della parascienza siano almeno in parte le stesse che sono alla radice della difesa dell'”ortodossia” scientifica contro i tentativi di scettici, critici e revisionisti.

Cominciamo a parlare di scienza versus parascienza. Prima di tutto va ben chiarito che l’ostilita’ di cui trattasi non e’ propria della fisica, bensi’ dei fisici, appellativo con il quale designero’ in senso lato tanto i professionisti del settore, quanto piu’ generalmente tutti coloro che nella scienza pongono il primo, ed a volte l’ultimo, fondamento dell’intero loro sistema conoscitivo. Distinzione questa meno irrilevante di quanto non possa sembrare a prima vista, dal momento che la fisica, intesa come complesso di teorie e di leggi elaborate allo scopo di spiegare e controllare quella serie di fenomeni naturali nei quali ci si e’ finora imbattuti, vuoi in modo casuale che programmato, non e’ una persona, ed e’ quindi del tutto indifferente allo scontro del nostro tema, al quale non porta contributi in nessuna direzione. In effetti, una teoria scientifica e’ per sua stessa natura limitata alla fenomenologia che la ha motivata e che cerca di comprendere, ed e’ assolutamente incapace di affermare alcunche’ su fenomeni “nuovi” che appartengano a campi diversi da quello di propria competenza. Tanto per dire, non ci si puo’ aspettare che usando le leggi della meccanica si possa essere capaci di prevedere quelle che regolano le interazioni elettromagnetiche, o di dedurre l’andamento dei processi termodinamici usando i principi dell’ottica.

La fisica e’ invero ripartita in “settori” tutti in certa misura indipendenti tra di loro, ed a ben vedere neanche troppo “coerenti” nelle intersezioni, e pretendere di usarne uno in un contesto diverso da quello proprio specifico e’ impresa che nessun fisico si sognerebbe mai di compiere. Detto cio’, perche’ si riscontra invece la situazione di totale opposizione che stiamo analizzando? Come mai la nostra (poca) conoscenza del mondo naturale viene utilizzata da alcuni per negare a priori la possibilita’ dell’esistenza dei fenomeni cosiddetti “paranormali”? Al massimo, uno scienziato potrebbe intervenire soltanto per correggere i tentativi di “spiegazione” che qualche volta sprovveduti sostenitori della parascienza portano a sostegno delle loro “esperienze”, nell’illusione che una patina di “scientificita’” possa rendere il loro discorso piu’ accettabile. Quante volte ho sentito parlare fuor di luogo di “magnetismo”, di “onde”, di “inversioni di polarita’”, etc.! In questi casi, se l’obiettivo di sembrare piu’ fondati viene forse raggiunto nei confronti di persone poco preparate, non si fa che peggiorare viceversa la situazione nei riguardi degli altri che sanno di cosa si parla, i quali a volte, proprio per questi malsicuri tentativi di “chiarificazione”, sono portati a rifiutare anche l’eventuale aspetto puramente fenomenologico delle asserzioni di telepati, veggenti, rabdomanti, radiestesisti, e cosi’ via.

La prima e la piu’ evidente delle motivazioni che stanno alla radice dell’atteggiamento in esame e’ senza dubbio la fiducia assoluta, che ha quasi le caratteristiche di una fede, che molti fisici hanno nella validita’ delle teorie da loro fino ad oggi elaborate (e, bisogna pur riconoscerlo, con non trascurabile impegno). E’ questa fiducia che li conduce poi, al di la’ di cio’ che sarebbe lecito da un punto di vista strettamente scientifico, a due passi estremamente rischiosi: il primo, l’estrapolazione di risultati ottenuti in un certo ambito in situazioni del tutto diverse e non direttamente sperimentate, perche’ non sperimentabili nelle attuali possibilita’; il secondo, il ritenere che la visione del mondo naturale (VMN nel seguito), o come si dice anche la Weltbild, cosi’ raggiunta sia, oltre che corretta nelle parti attualmente conosciute, anche completa, ovvero, che la natura non abbia piu’ sorprese da offrirci, e ci sia piu’ poco o nulla da sapere per cio’ che concerne la sua struttura fondamentale.

Voglio fare qualche esempio per chiarire meglio questa doppia possibilita’ di errore. Riguardo alla prima “tentazione” del fisico, bisogna tenere presente che i fatti fisici sui quali sono fondate le nostre teorie, anche ammettendo che siano stati verificati al di la’ di ogni ragionevole dubbio dal punto di vista sperimentale, sono stati pur sempre ottenuti soltanto in laboratori terrestri, sicche’ non si puo’ essere del tutto sicuri che abbia torto chi sostenesse invece ipotesi diverse da quelle che vengono oggi accettate e divulgate sulla natura di fenomeni che avvengono “lontano” da noi. Un noto astrofisico, H. Arp, molto stimato prima di diventare un “contestatore”, ha avanzato di recente l’ipotesi che la materia non sia sempre “uguale” dappertutto, ma presenti anch’essa fenomeni di “invecchiamento”, ovvero che esistano atomi per cosi’ dire giovani, ed atomi vecchi. Noi qui sulla terra avremmo a che fare “naturalmente” con atomi tutti piu’ o meno della stessa eta’, ma altrove gli atomi di un’identica sostanza, ferro, carbonio, etc., potrebbero avere una differente eta’, e presentare quindi caratteristiche diverse. Ne conseguirebbe ad esempio che fare dei calcoli sugli spettri della radiazione emessa da sorgenti lontane trattando l’ipotetica materia da cui queste sono costituite come in tutto simile a quella con cui abbiamo a che fare qui sul nostro pianeta sarebbe profondamente sbagliato in linea di principio. Poiche’ e’ proprio da questo calcolo invece che i fisici inferiscono il primo fondamento della teoria del big-bang, vale a dire il preteso allontanamento delle galassie lontane, ecco che tale fenomeno non sarebbe piu’ propriamente un “fatto” fisico, ma soltanto un’errata valutazione della velocita’ delle galassie in oggetto. Per inciso, va detto che Arp e’ stato progressivamente emarginato dagli ambienti della ricerca “che conta”, e che gli e’ stato rifiutato ulteriore “tempo di telescopio”, con la motivazione che la sua proposta di ulteriori ricerche e’ “priva di valore”. Questa circostanza suggerisce l’opinione che la “scomunica” degli scienziati non e’ riservata soltanto ai seguaci del paranormale, ma ad ogni atteggiamento “eretico”: scrive P.K. Feyerabend che “la scienza e’ diventata oggi non meno oppressiva delle ideologie contro cui dovette un tempo lottare”, e che “gli eretici nella scienza devono ancora soffrire le sanzioni piu’ severe che questa societa’ relativamente tollerante puo’ applicare”.

Gli esempi di “illecite” estrapolazioni si potrebbero moltiplicare, cosi’ come quelli di concezioni non-convenzionali che hanno invece qualche possibilita’ di essere “piu’ vere” di quelle convenzionali, e di conseguenti atteggiamenti “intolleranti” della comunita’ scientifica, ma forse e’ piu’ opportuno osservare per concludere la prima parte di questa analisi che tutti i famosi principi della fisica provengono quasi sempre da generalizzazioni di questo tipo, ed il guaio e’ che molti scienziati se ne dimenticano, presentando in modo del tutto anti-storico e dogmatico la loro disciplina come un complesso monolitico ed indiscutibile.

Quest’ultima osservazione riporta anche direttamente alla seconda delle sopra dette “tentazioni”, ovvero alla questione della “completezza”. Tutta la storia della scienza, quando non condotta con fini esclusivamente apologetici, come pure spesso capita, insegna al contrario che la fisica e’ una creazione umana e fallibile, e che ogni volta che qualcuno ha tentato di indicare come concluso il compito, ecco che si sono aperti nuovi campi di possibilita’ e di sperimentazione, che nuove forze, nuove forme di energia sono state scoperte. Il matematico A. N. Whitehead ricorda come i suoi professori di fisica a Cambridge all’inizio di questo secolo ritenessero che “quasi tutto quello che c’era da sapere in fisica fosse ormai conosciuto”, e che questa disciplina fosse diventata ormai “un soggetto quasi chiuso”. Tali previsioni venivano avanzate proprio alla vigilia delle grandi scoperte di questo secolo sull’energia atomica, e della completa rivoluzione delle nostre conoscenze sulla struttura della materia e dell’universo, tanto che Whitehead aggiunge dei commenti sulla profonda impressione che questa circostanza ebbe su di lui, concludendo con le parole: “Ebbene, sono stato ingannato una volta, e che io sia dannato se saro’ ingannato di nuovo”. Evidentemente la storia si ripete, visto che mi e’ capitato di assistere spesso ad identiche “professioni di fede” da parte di colleghi fisici di oggi!

Veniamo infine alla questione della “validita’” della fisica almeno per quello che essa ha attualmente prodotto nei campi dall’uomo piu’ sperimentati. Il fatto che la nostra conoscenza delle leggi del mondo naturale sia purtroppo ancora tale da far dire ad un altro celebre matematico, R. Thom, che “sappiamo calcolare tutto ma non spiegare nulla”, e che le attuali teorie fisiche “concettualmente non hanno ne’ capo ne’ coda”, dovrebbe condurre a ben altro atteggiamento che alla diffusa fiducia nell’immutabilita’ delle sue “leggi”, anche solo in relazione a quelle teorie che per ora vengono considerate come stabilite “oltre l’ombra del dubbio” (per usare una imprevidente espressione del fisico C. Will a proposito della teoria della relativita’ cosiddetta “speciale”). C’e’ invece oggi la concreta possibilita’ ad esempio che fenomeni quali quello della “fusione fredda” conducano ad un ripensamento su tutta una serie di opinioni sulla struttura dell’atomo e della materia considerate ai nostri giorni come “certe”, o che piu’ approfondite analisi critiche sui fondamenti dell’elettromagnetismo possano modificare anche la nostra concezione dello spazio e delle sue “qualita’” fisiche. Ai giorni nostri sono purtroppo ancora pochi coloro che, consapevoli di cio’, si aspettano grandi rinnovamenti da future ricerche anche in settori che sembrerebbero definitivamente stabiliti, e forse anche inimmaginabili vantaggi tecnologici per l’umanita’ a seguito della scoperta di nuovi modi di ottenere energia. Chi scrive queste righe non puo’ di conseguenza non lamentare le difficolta’ che vengono continuamente frapposte a coloro che ricercano in settori non convenzionali (i nuovi “eretici” di cui si parlava prima), ai quali viene impedito l’accesso ai fondi per la ricerca o ai mezzi di comunicazione della comunita’ scientifica, che vengono piu’ utilizzati per la produzione di “titoli” efficaci per la progressione delle carriere che non per la divulgazione di nuove idee ed il dibattito tra punti di vista contrapposti.

Detto di questo primo ordine di motivazioni, che e’ in comune tra le due opposizioni scienza/parascienza e scienza/scienza eretica, si deve ritenere che il primo dei due conflitti sia cosi’ completamente spiegato, e che l’ostracismo nei confronti dei cultori del paranormale sia analogo a quello che gli scienziati “ortodossi” praticano nei confronti degli “eretici”? O esistono piuttosto altre piu’ profonde ragioni di questa ostilita’? Sosterro’ in questa seconda parte del lavoro la tesi che esistono ulteriori motivazioni, che potremmo dire di tipo “metafisico”, perche’ radicate in un terreno che esula dall’ambito propriamente scientifico per sconfinare in quello “filosofico”, le quali costituiscono un ostacolo di fatto insormontabile per un sereno atteggiamento degli appartenenti alla comunita’ scientifica nei confronti di coloro che gravitano invece intorno all’ambiente della parascienza.

Abbiamo accennato prima al fatto che attraverso successive estrapolazioni ed una presunzione di completezza si costruisce quella che abbiamo chiamato una “visione del mondo naturale” (VMN). Che relazione c’e’ tra una VMN e una “visione generale del mondo” (VGM), quella che si dice anche una Weltanschauung, vale a dire il complesso totale delle credenze di un individuo, tra le quali trovano posto, oltre alle opinioni sulla natura dell’universo, anche quelle sull’uomo, il suo ruolo ed il suo destino, in altre parole tutte quelle istanze relative al significato che sono poi alla base dei nostri comportamenti etici? Esprimendoci sinteticamente, possiamo dire che una VGM e’ costituita dall’unione di una parte fisica e di una parte “metafisica”, ovvero, nei nostri termini, di una VMN e di una parte complementare che riguarda tutto il resto. Cio’ premesso, e’ chiaro che non e’ possibile “attaccare” ad una data VMN una qualsiasi metafisica, perche’ e’ necessario allo scopo di costituire una VGM coerente che ci sia una certa forma di accordo, di armonia, tra VMN e credenze metafisiche. E’ questa ovvia necessita’ che si ritrova ad esempio alla radice degli storici conflitti tra la scienza e la “fede”, valga per tutti quello paradigmatico tra Galileo Galilei e Roberto Bellarmino. In effetti anche nelle VGM nelle quali la parte metafisica e’ preminente esiste sempre almeno in embrione una VMN; e, viceversa, anche se in una VGM e’ preminente la parte naturale, come nel caso dello “spirito” del nostro tempo di cui presto diro’, la parte metafisica non puo’ essere mai del tutto vuota. Le modifiche proposte da Galileo alla VMN del tempo furono allora viste giustamente sotto questo punto di vista dal Bellarmino come un attentato a tutto l’edificio conoscitivo, proprio perche’ consapevole del fatto che un’esigenza di coerenza avrebbe imposto all’uomo come essere raziocinante anche una revisione della parte metafisica che voleva difendere.

Cerchero’ di esprimere questo concetto anche in un altro modo, usando la terminologia, oggi di moda, ispirata a K. Popper: se e’ vero che in una VGM la VMN costituisce la parte piu’ di rettamente falsificabile, e’ pero’ anche vero che la parte rimanente non sfugge neanche lei ad un suo specifico “criterio di falsificazione”, proprio perche’ l’esigenza di coerenza impone il rifiuto di opinioni metafisiche che diventano, se non proprio confutate, quanto meno implausibili alla luce di certe conoscenze fisiche. Per prevenire qualche obiezione, va detto che cosi’ come un accrescimento di queste ultime non necessariamente modifica una VMN, cosi’ pure un mutamento della VMN non impone comunque un riassestamento della parte metafisica di una VGM. E ancora, non e’ detto che la dialettica interna tra le due parti in cui abbiamo suddiviso una VGM si sviluppi sempre in sequenza temporale, vale a dire storicamente, con una precedenza dell’una sull’altra: assistiamo a casi nei quali e’ la parte metafisica che viene suggerita da quella naturale, ed a casi inversi nei quali e’ la parte metafisica che per cosi’ dire “inventa” la VMN. Allo scopo di illustrare quanto precede con un esempio, oltre al “caso Galilei”, basta pensare alle “difficolta’” nelle quali si e’ trovato il pensiero cattolico (o, piu’ generalmente, qualsiasi VGM che ricorra al concetto di un “creatore”), all’apparire delle prime ipotesi sulla teoria dell’evoluzione di J.B. Lamarck e C. Darwin. Per terminare su questo aspetto della questione, se e’ vero che una metafisica “viva” dispone di risorse concettuali ed interpretative tali da permetterle di non correre i rischi di una vera e propria teoria sperimentale, e’ anche vero che un costante sforzo di revisione o di adattamento puo’ alla lunga essere sentito come troppo faticoso, e soprattutto artificiale, con conseguente “abbandono” della VGM che si stava cercando di sostenere. Alla luce di quanto detto, si comprende come quando si parla ad esempio oggi di “morte di Dio”, non si fa altro che riferirsi alle difficolta’ delle metafisiche tradizionali di fronte all’estendersi ed al consolidarsi di una VMN che, acquistata autorevolezza grazie alle conquiste tecnologiche che abbiamo tutti sotto gli occhi, riferisce a circostanze spontanee e fortuite l’origine tanto della vita quanto dell’universo. La situazione nella quale si puo’ trovare ancora oggi chi voglia cercare di conciliare “scienza” e “fede” e’ perfettamente descritta da un altro matematico, G. Melzi:

“La preoccupazione […] e’ che possa diventare da un momento all’altro inevitabile la scelta fra queste alternative, tutte egualmente deprecabili: ridimensionare le proprie aspettative di verita’ dalla parte della scienza, ridimensionare le proprie aspettative di cultura dalla parte della fede, ridimensionare la propria mente imponendole il quadro depresso della doppia verita’, anzi della verita’ a due piani”.

Quest’ultima osservazione suggerirebbe invero che quella particolare forma del “principio di non contraddizione” sulla quale sto cercando di fondare l’interazione tra parte naturale e parte metafisica di una VGM, non e’ forse poi cosi’ comune, e che alcuni (molti?) riescono a convivere senza troppi disturbi anche in presenza di qualche incoerenza, purche’ non simultanea, ovvero, a livelli diversi del sistema della conoscenza (mi riferisco sempre qui ovviamente ad un contesto per quanto possibile sincronico). Sulla reale possibilita’, e sulla frequenza “storica” di siffatta “schizofrenia” intellettuale, non mi soffermero’, anche se il tema meriterebbe una particolare attenzione. Preferisco invece dedicare qualche riga, per non essere frainteso, alla confutazione delle opinioni “irrazionali” che sostengono che sia sempre il quadro metafisico a determinare quello fisico (“e’ l’opinione che crea i fatti, e’ la teoria che fa gli esperimenti”), e fanno assomigliare allora lo scienziato al poeta, ad un costruttore di “miti”. Ritengo invece che la scienza abbia per sua propria natura a che fare comunque con tutta una serie di fatti naturali accertati o accertabili, ripetibili ed immodificabili, questi si’ costituenti (con la prudenza della quale si deve tener conto in virtu’ di quel che si diceva prima) il nucleo irreversibile e saldo di ogni serio “sistema” conoscitivo. E’ vero piuttosto, come abbiamo detto, che, dal punto di vista diacronico, VMN e metafisica sono in un rapporto “dialettico” senza un fissato ordine di precedenza, che qualche volta, come insegna la storia, e’ stata l’una a guidare l’altra, e qualche volta viceversa, anche se e’ naturalmente vero che, nel caso si diano due diverse teorie che inglobano il “nucleo” di cui si diceva prima, allora e’ piuttosto la coerenza con un quadro metafisico gia’ accettato quella che opera la selezione tra di esse, che non altre ragioni strettamente scientifiche. La situazione non giustifica quindi ne’ i tentativi di “riduzione” della Weltbild alla Weltanschauung, o viceversa, ne’ deve fare comunque dimenticare che la parte piu’ certa della nostra conoscenza, e con la quale dobbiamo sempre fare i conti, e’ quella che ci rapporta con il reale. Se si dimentica questa necessita’, si corre il rischio di scambiare per certezze i nostri desideri, di dare corpo ai “sogni” ispirati dalle nostre pulsioni profonde, di “credere” a fantasie con le quali si cerca di esorcizzare il timore della morte. Per tornare al tema principale del nostro discorso, e’ ormai chiaro che la motivazione “profonda” che stavo cercando di determinare e’ proprio la visione generale del mondo che molti fisici hanno a comune, quella che C.G. Jung chiama lo spirito del tempo, che nel nostro caso e’ ormai consolidato da oltre due secoli. Con questo non voglio certo affermare che tutti i fisici hanno la stessa VGM (ci sono evidentemente eccezioni), ma che la maggior parte delle loro singole VGM, con le innumerevoli possibili varianti, appartengono tutte comunque ad una stessa famiglia (alla quale mi piace riferirmi come a quella della “III meta fisica”). In altre parole, ritengo che la VMN costruita dagli inizi della scienza moderna fino ad oggi, se non proprio implichi logicamente, almeno alluda ad una ben precisa VGM, quella che Tolstoi con sensibilita’ di letterato individuo’ e descrisse correttamente quasi un secolo fa (precisamente nel 1884, prima ancora che la fisica atomica e nucleare fossero sorte):

“Nello spazio infinitamente grande, in un tempo infinitamente lungo, particelle infinitamente piccole si modificano in una complessita’ infinita, e quando tu avrai capito le leggi di tali modificazioni, allora avrai capito anche perche’ vivi”.

E’ questo lo “spirito del tempo” con cui abbiamo a che fare, il quadro metafisico nel quale e’ nata, e si e’ poi sviluppata, viepiu’ rafforzandolo, tutta la nostra scienza occidentale, anche a costo di cedere alle “tentazioni” di cui si diceva prima, quasi un tributo che un figlio dovesse rendere al proprio padre. Invero, una siffatta concezione si impose gradatamente assieme a quello che chiamero’ un “processo di deantropocentrizzazione”. All’inizio, fu la scoperta di un Nuovo Mondo a cominciare a mettere in crisi la rassicurante idea di un essere umano creatura privilegiata del cosmo, posta a vivere al centro di un’unica estensione di terra circondata dalle acque, situata a sua volta al centro dell’universo sotto lo sguardo costante di Dio, concezione anche questa seconda che veniva subito dopo definitivamente (?) smantellata da Copernico. Poteva restare comunque un posto privilegiato all’uomo in quanto questi si immaginasse dotato di una “parte spirituale”, un’anima, che lo differenziasse dal resto dei componenti del regno animale, ma Darwin e seguaci distrussero anche questa illusione. L’ultima spiaggia dell’orgoglio umano era a questo punto rappresentata dal fatto che almeno con le sue “categorie mentali” l’uomo era in grado di comprendere le leggi della gigantesca macchina nella quale si trovava a vivere (giusta lo spinoziano “Ordo et connectio idearum idem est ac ordo et connectio rerum”), ma A. Einstein convinse tutti che anche i concetti di spazio e tempo con i quali si costruiva la fisica “classica” non erano altro che semplici prodotti del nostro povero cervello di mammiferi primati, e che poco si addicevano alla realta’ intima di una natura assai piu’ complessa, e da allora in poi anche sempre piu’ impossibile da concepire “razionalmente”. Nella scienza contemporanea si assiste allora al fenomeno che il fisico F. Selleri definisce “l’epistemologia della rassegnazione”: ci si rifugia nelle “specializzazioni”, e ci si persuade che, piu’ che alla ricerca della “verita’”, lo scienziato (il filosofo) debba volgere i suoi sforzi alla produzione di “modelli utili”, e tuttavia la cittadella dell’ortodossia continua ad essere strenuamente difesa sulle “vecchie” basi.

C’e’ chi in effetti vede nelle conseguenze filosofiche della fisica del XX secolo un notevole mutamento di prospettiva rispetto al materialismo meccanicista dell’800, ma io indicherei, piu’ che le ovvie differenze tra le due, una loro rilevante somiglianza: e cioe’ che dipendono entrambe per la parte metafisica dal tentativo riduzionista di eliminare dal dualismo materia/spirito uno dei due poli per farne una conseguenza dell’altro. Se nell’800 si tento’ a questo scopo senza successo di “determinare lo spirito” (concezione peraltro ancor oggi diffusa presso molti scienziati), nel ‘900 si e’ cercato simmetricamente di “indeterminare la materia”, ma il fine ed il risultato e’ stato sempre lo stesso. Per esemplificare meglio quanto precede vorrei citare infine alcune parole di un altro grande matematico, E. Kaehler, nelle quali, dal mio punto di vista, la matematica, come linguaggio della fisica, puo’ venire identificata con questa: “La matematica, l’intelletto sviluppato dall’umanita’, e la filosofia, il dominio dello spirito, costituiscono un’unita’, un equilibrio, fra le forze dell’analisi e quelle della sintesi. Lo stato presente delle scienze non realizza questa unita’ spirituale. La maggior parte della matematica non e’ che energia potenziale dello spirito, mentre un’altra parte della matematica ha quasi soffocato lo spirito, nella misura che il dogma dell’uomo moderno si riduce alle tre umiliazioni dell’umanita’ constatate da S. Freud: la decentralizzazione della terra, l’interpretazione della vita come un fenomeno di vecchiaia della natura, la riduzione dell’ego umano ad un centro di aggressione e di sessualita’”.

Per avviarci ormai verso la conclusione, ecco che ho creduto di individuare nel descritto spirito del tempo, nell’unica metafisica oggi ammissibile per un “vero” scienziato, che non voglia tenere in alcun conto residui di “vecchie superstizioni”, la ragione profonda del conflitto tra scienza e parascienza, o meglio, tra scienziati e “parascienziati”. Esiste infatti un’assoluta incompatibilita’ tra le affermazioni sul paranormale, per cio’ che esse sottintendono in relazione ad un ruolo particolare dell’essere umano, e quella Weltanschauung che ho cercato di descrivere prima nelle sue linee essenziali. E naturalmente, come ci dice Jung, “con lo spirito del tempo non e’ lecito scherzare: esso e’ una religione, o meglio ancora una confessione, un credo, a carattere completamente irrazionale, ma con l’ingrata proprieta’ di volersi affermare quale criterio assoluto di verita’, e pretende di avere per se’ tutta la razionalita’”.

Per quanto attiene infine alla scienza “eretica”, sono dell’opinione che questo conflitto metafisico sia presente, almeno nello sfondo, anche nell’ostilita’ che gli scienziati ortodossi praticano nei confronti dei sostenitori di teorie non-convenzionali, al di la’ di piu’ appariscenti motivi economici, o di prestigio e di potere accademico: sia perche’ modificazioni della VMN, anche se non necessariamente conducenti a sconvolgimenti di una VGM, sono comunque malviste, sia perche’ operazioni di “igiene mentale”, quali ad esempio quella proposta dal fisico R. Monti in opposizione alla teoria della relativita’, ed in favore di un “principio di razionalita’” con cui si vorrebbe rifondare la fisica sulle “nozioni ordinarie” di spazio, tempo e causalita’, vanno comunque in senso inverso al processo di deantropocentrizzazione dianzi accennato.

Come si potra’ uscire da un siffatto stato di cose? E’ possibile che la scienza, con l’appoggio fornitole anche dalla tecnologia, schiacci del tutto ogni opinione rivale, cosi’ come e’ possibile viceversa che una “rivoluzione irrazionale” porti a dimenticare anche quanto di buono la scienza ha fatto soprattutto nel campo della pura conoscenza, che e’ quello che deve stare a tutti piu’ a cuore. Le due alternative sono entrambe da temere, e la speranza invece e’ che, considerando fallito il tentativo di un “mondo senza spirito”, qualcuno riesca a costruire le linee fondamentali di una IV metafisica, che affianchi come altrettanto reale a quello materiale un polo spirituale: ma ne’ uno spirito contrapposto in qualche misura al mondo, come avviene secondo l’impostazione dualista, ne’, alla moda “idealista”, uno “spirito senza mondo”. La novita’ che bisogna forse cominciare a esaminare e’ quella di uno “spirito nel mondo”, del quale si riconoscano allora di conseguenza anche le debolezze ed i limiti. Una metafisica che, come sintesi delle precedenti, sia edificata con frammenti di quelle, ma realista senza essere riduzionista, scientifica senza essere materialista.

Ci sara’ spazio nella IV metafisica per i fenomeni paranormali? Sarebbe imprudente azzardare una previsione, anche se personalmente, per quel poco che mi e’ capitato di incontrare nella mia esperienza di vita, ne dubito molto, visto che questi potranno essere accettati solo quando usciranno dal piano della paranormalita’ per entrare in quello puro e semplice della “normalita’”. Con questo non voglio dire che la loro spiegazione naturale dovra’ essere necessariamente “facile”, o nei termini delle teorie gia’ a disposizione, ma che almeno sul piano fenomenologico la loro reale esistenza dovra’ essere accertata al di la’ di ogni dubbio, viceversa oggi molto giustificato. Al proposito, ho addirittura l’impressione che molto dell’interesse per il paranormale, piu’ che provocato da un reale imbattersi in fenomeni di questo tipo (si noti quanto e’ frequente nei loro resoconti il riferirsi ad “altri”, come nelle “leggende metropolitane”), non sia in verita’ altro che espressione di un rifiuto della III metafisica, e della conseguente esigenza filosofica di una nuova visione generale del mondo. In altre parole, chi vorrebbe reintrodurre con tutti i diritti il termine di “spirito” nel dibattito delle idee, ritenendolo piu’ aderente alla descrizione della propria esperienza personale, guarda allora con interesse e speranza all’esistenza di fenomeni paranormali come ad una eventuale prova di quello, quasi che ci fosse bisogno di ulteriori prodigi oltre alla constatazione, direttamente ed immediatamente sperimentata da ogni soggetto pensante, di una materia che diventa cosciente di se stessa, soffre ed ama.

Alcuni degli elementi costitutivi di questa nuova metafisica, che possa restituire alla nostra conoscenza quell’unita’ spirituale di cui sentiamo il bisogno, si intravedono gia’ nelle riflessioni di alcuni pensatori contemporanei, ma e’ chiaro comunque che per condurre in porto la sua costruzione dovremo ancora aspettare colui che sapra’ trovare parole nuove per esprimere concetti nuovi, anche se “antichi”.

Perugia, agosto 1991

Umberto Bartocci

Dipartimento di Matematica

Universita’

“Questo lavoro e’ dedicato con molto affetto agli amici Clara Bartocci, Giovanni Boniolo, Marco Mamone Capria, che mi hanno sopportato ed aiutato nel corso di tante discussioni su questo genere di argomenti”.

Fonte – Episteme

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