Le conseguenze dell’amore, così il cuore droga il cervello

Annulla tristezza, ansia e paure, accendendo in noi scintille di vita: quel che già “sentivamo” ora è verità scientifica. Ecco come la neurobiologia interpersonale, e una studiosa americana decisa a guarire il marito, lo hanno dimostrato. Diane Ackerman ha sperimentato gli effetti positivi nella cura del compagno dopo l’ictus

 

È la rivincita di Cole Porter e Frank Sinatra. Ricordate quel vecchio successo di Broadway? “Neppure la cocaina mi dà il piacere che mi dai tu”. Giustissimo: “I Get A Kick Out Of You”. La scienza ci ha messo qualche decina di anni ma alla fine la verità che abbiamo sempre sospettato è saltata fuori: l’amore è come una droga. Nella duplice accezione appunto di dipendenza e medicina. Sì, il doping del cuore è l’ultima frontiera della neuropsichiatria. Anzi, per la precisione di una nuovissima disciplina chiamata neurobiologia interpersonale. E che per la prima volta nella storia è riuscita a dimostrare che cuore & cervello non solo si parlano: è il primo a dettare legge sul secondo. Con buona pace dei freddi sostenitori del primato della mente. Che l’amore facesse bene è una verità antica come il mondo che gli ultimi studi stanno finalmente corroborando. Il più curioso è saltato fuori qualche giorno fa.

Una ricerca dell’Università della California ha dimostrato che anche i moscerini, nel loro piccolo, si attaccano alla bottiglia: nel senso che quelli che non fanno l’amore vanno a caccia della frutta più alcolica perché lì si nasconde un enzima che dà appagamento – e che l’atto sessuale produce in abbondanza. È la prova certamente più inebriante del legame tra sesso e cervello. Ma l’appagamento non è necessariamente sessuale: cioè non si determina soltanto nell’atto. Non lo diceva già Dante che a volte basta “quella dolcezza al core?”


Gli esperimenti che Diane Ackerman ha raccolto sul New York Times sono impressionanti davvero. Anche perché la studiosa non si è limitata allo studio degli altri: ma ha esposto la propria esperienza personale: “Il corpo ricorda, il cervello ricicla e ri-programma. Ho testimoniato io stessa questo effetto benefico nel processo di guarigione di mio marito”. Il suo compagno scrittore aveva sofferto un ictus che gli aveva bloccato quell’emisfero destro che sovrintende al linguaggio. Ma l’amore della moglie-studiosa ha fatto letteralmente il miracolo. “Ho cominciato a sperimentare nuovi modi di comunicare: attraverso gesti, emozioni facciali, giochi, empatia: e una tonnellata di affetto”. A poco a poco, il cervello del marito ha cominciato a rimettersi in moto rispondendo alle sollecitazioni: com’è stato possibile?

La più grande scoperta della neurobiologia interpersonale è che il cervello non smette mai di modificarsi. Da Sofocle a Sigmund Freud e dintorni, concetti come il complesso di Edipo, si sa, sono diventati d’impiego popolare. Ma finora neuropsichiatri e psicanalisti cercavano appunto quel momento fondativo che ci avrebbe cambiati per sempre: cercando magari di modificarlo, con terapie o sublimazioni. L’alchimia neurale, sostiene invece la nuova scuola guidata da Dan Siegel dell’Università di Pasadena, continua per tutta la vita: soprattutto mentre forgiamo amicizie e scegliamo i nostri amori. “Il corpo”, spiega ancora la Ackerman “ricorda quell’unicità sentita con mamma: e cerca il proprio equivalente adulto”. Quell’unicità è la “sincronia tra la mente del bambino e la madre” che la scansione elettronica del cervello oggi ha permesso di fotografare. E che è la stessa sincronia registrata proprio tra gli innamorati.

Una verità che risulta evidente anche grazie al suo contrario. Naomi Einseberger dell’Università di California ha dimostrato che le aree del cervello che registrano il dolore fisico sono le stesse che si accendono quando l’amata o l’amato ci ha mollati. Anche qui, però, senza ridursi come i moscerini e attaccarci alla bottiglia, ci basterebbe ritrovare il tocco dell’amore. Gli esperimenti di James Coan, Università della Virginia, non lasciano dubbi. Questo crudele neuroscienziato ha sottoposto a piccoli elettroshock le caviglie di un gruppo di donne innamorate: quando alle signore veniva magnanimamente accordato di tenere l’amato per mano, beh, i neuroni diciamo così del dolore si illuminavano di meno. E gli esperimenti simili condotti alla Stony Brook University hanno dimostrato, per esempio, che il cervello si illumina di fronte all’immagine dell’amata così come si accende nei consumatori di cocaina.

Eccolo qui, ecco il colpo che ci accende, ecco il famoso “kick”: che toccherà a noi, a questo punto, saper far durare un po’ di più che il tempo di una canzone.

Fonte – La Repubblica, art. di Angelo Aquaro, 31 marzo 2012

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